Frattura di metacarpo

Le fratture di metacarpo sono molto frequenti, in particolare quella del quinto (boxer’s fracture), e rappresentano la maggior parte delle fratture dell’arto superiore.

Cause

Spesso la frattura di metacarpo si verifica con traumi in attività sportive (pugilato, pallavolo, Basket), cadute accidentali, incidenti domestici, traumi sul lavoro come torsioni o schiacciamenti, traumi ad alta energia come negli incidenti stradali.

Sintomi

Presentano sintomi abbastanza comuni come: gonfiore soprattutto lungo il raggio corrispondente, ematoma locale, dolore, tumefazione, ipersensibilità e spesso deformità assiali del dito corrispondente con possibile rotazione, impotenza funzionale con difficoltà di chiusura e di presa della mano.

Diagnosi

Esame clinico per evidenziare altri danni collaterali o attigui, come lesione tendinee e capsulari, danni ai fasci vascolo-nervosi. Esame RX in proiezione antero-posteriore, laterale e obliqua. Talvolta è utile un approfondimento diagnostico con esame TC per uno studio preoperatorio, soprattutto in caso di fratture multiple a più livelli.

Trattamento

Il fine ultimo del chirurgo ortopedico è quello di favorire la guarigione delle fratture, interferendo il meno possibile indipendentemente dalla scelta di trattamento conservativo o chirurgico.

Conservativo

Il trattamento conservativo (gesso, stecca, tutori) è riservato alle fratture composte e/o stabili in assenza di rotazione evidente del dito corrispondente. La maggior parte delle fratture dei metacarpi è stabile e richiede semplicemente un trattamento ortopedico.

Trattamento chirurgico

Il trattamento chirurgico è indicato nelle fratture riducibili ma instabili, irriducibili e instabili, comminute instabili o scomposte, fratture associate con trauma multiplo di altri segmenti ossei, fratture metacarpali esposte e/o fratture con danno tendineo, nervoso o vascolare. In base al tipo di frattura e della sua scomposizione si può optare per un pinning percutaneo in regime di Day Hospital con l’uso di fili di Kirschner che verranno poi rimossi in ambulatorio a circa 30 gg dall’intervento. Nei casi più gravi (scomposizione importante, irriducibile, perdita di sostanza, ecc..) si procede a sintesi a cielo aperto con viti cannulate  e/o placche a stabilità.  L’immobilizzazione post operatoria consiste in valva gessata con sindattilia delle dita adiacenti, per permettere un movimento precoce. Il paziente è quindi libero di iniziare una cauta mobilizzazione subito dopo l’intervento. La sintesi rigida con placca e viti o con viti libere consente una migliore riduzione e stabilizzazione rispetto all’uso dei fili di Kirshner, ma a prezzo di un rischio di interferenze con il sistema tendineo ed articolare. Lo scollamento delle strutture adiacenti all’osso può causare aderenze, deficit di scorrimento tendineo e rigidità. La mobilizzazione precoce è sicuramente la modalità migliore per cercare di evitare edemi, rigidità articolari e aderenze tendineo-periostee.

Rischi e benefici

Dopo l’intervento, con esame radiografico soddisfacente, il rischio maggiore è rappresentato principalmente dall’immobilizzazione. Da considerare, come per molti autori, che le eventuali complicanze sono sovrapponibili tra trattamento conservativo e chirurgico. Le complicanze più temibili sono: rigidità articolare ed algodistrofia, viziosa consolidazione, ritardi di consolidazione e pseudoartrosi, osteiti, artrosi post-traumatica. Si potrà riscontrare pure una diminuzione della forza nel sollevare carichi con la mano a pugno. In caso di viziosa consolidazione e/o rigidità articolare residua dovuta ad aderenze, può rendersi necessario un secondo intervento di artrolisi o osteotomia di correzione a livello del focolaio pregresso di frattura.

Riabilitazione

Di fondamentale importanza in questo tipo di fratture è la possibilità di iniziare la mobilizzazione attiva nella fase più precoce possibile con un riabilitatore professionista specialista in riabilitazione della Mano

Potrebbe interessarti